L’Oriente d’Occidente II

Ne “Il mondo come volontà e rappresentazione” Schopenhauer mostra quanto l’assunto della Chandogya Upanisad-tat tvam asi-l’avesse colpito. Questa espressione diviene rivelatrice della più intima natura del soggetto, al di là di illusorie prospettive che disegnano partizioni. E’ interessante come l’Occidente abbia cercato, e continui a farlo, il recupero dell’alterità nella costruzione del soggetto anche consultando la saggezza d’Oriente. Intendo dire che fra i motivi di quel fascino dall’India esercitato sull’Europa troviamo l’esigenza di riscrivere i contorni del soggetto, non più una frustrante esperienza di separazione-l’io e l’altro, morale e immorale, pensiero ed estensione- ma intreccio di differenze.

L’Oriente d’Occidente I

Le epoche di mercato religioso sono quei momenti della storia umana in cui nuove dimensioni esistenziali e incertezze foraggiano la compravendita di fedi. Questa lettura appare adeguata per comprendere, almeno in parte, l’ingresso delle religioni orientali nella cultura d’Occidente. Il fascino per l’Oriente emerge in una galassia di pratiche e dottrine il cui centro è rappresentato dall’idea di una spiritualità come ricerca libera da dogmatismi, in particolar modo dal dogma del peccato. Nella ricezione di fenomeni come il Buddismo pesa, dunque, l’esigenza che la vita spirituale sia conforme alle richieste di libertà e piena espressione dell’individuo. La meditazione, non a caso spesso sganciata dal corpus retrostante di dottrine, diventa tecnica di autoliberazione nel senso di un conferimento di sacralità al sentire del singolo oltre qualsivoglia piattaforma morale e atteggiamento giudicante. In modo estremamente sintetico si potrebbe riconoscere nelle nuove spiritualità un riflesso di quel mito dell’individuo che, sul piano politico, si esprime ad esempio nella massimizzazione dei diritti individuali. Quale conclusione trarre circa questa lettura delle dottrine orientali? Appare interessante come ciò che nel suo contesto originario si era posto il problema di analizzare l’io, dimostrandone l’inconsistenza, oggi ne segni una nuova vita in forma liquida, un “io e il mio” amorfi semplicemente perché ribelli ai conformismi dominanti (in genere identificati con il Cristianesimo e il Capitalismo). La meditazione diventa esperienza di contatto con “maestri interiori” che guidano la percezione del proprio sé oltre quello che la società vorrebbe imporci. L’impressione è che l’Oriente d’Occidente rimanga, con questo suo paradossale attaccamento all’identità, un atteggiamento intellettuale, strumento di controcultura nella lotta di liberazione radicale del singolo.